AMALGRAB Recensione di Rabii El Gamrani

Di Guergana Radeva, ovvero di una scrittura vagante senza tempo e senza spazio


Di Rabii El Gamrani

Radeva Guergana

Non solo fare l’amore esige dei preliminari, anche leggere un libro li impone. Prima di tuffarsi in un libro, come si tuffano certe cose nell’atto di far l’amore, bisogna goderselo con calma, da chiuso. Guardare la copertina, il titolo, i colori, le scritte, girarlo e rigirarlo, tastare la carta sulla quale è stato stampato, io lo annuso  anche, ma questo non siete obbligati a farlo. Insomma un libro è come una donna: bisogna saperselo gustare.
I libri della casa editrice “Compagnia delle lettere” sono belli fuori e dentro.  L’editrice Silvia De Marchi dice soddisfatta: “I nostri libri sono stampati su una carta in fibra di cotone e legno a basso impatto ambientale. Inquina meno della carta riciclata che è sbiancata con additivi chimici”.
Si sente che sono libri fatti con cura e amore, d’altronde la casa editrice ha optato per un genere di letteratura molto di nicchia, ma in grande espansione che, pian piano, si sta affermando nel panorama culturale del paese, parlo di ciò che viene comunamente chiamato “La letteratura della migrazione”.
“Compagnia delle lettere” pubblica solo autori “stranieri” che scrivono in lingua italiana.
La nostra autrice di oggi è una di quel gruppo di autori, sempre in crescita, che è approdata alla scrittura in italiano da altri orizzonti linguistici. Guergana Radeva è di origine bulgara, “Amalgrab, ovvero lo specchio delle brame” è il suo primo romanzo. Vive in Italia dal ‘91 e risiede in Maremma come ci informa la nota biografica sul libro.
Bisogna dire che “Amalgrab, ovvero lo specchio delle brame” non è un libro facile. Nessuno si aspetti che leggerlo sia una passeggiata, spesso vi troverete obbligati a fare il gioco dell’oca, cioè a tornare indietro perché avrete il sospetto che qualcosa vi sia sfuggito.
Già il titolo stesso è impegnativo, ed è forse più giusto parlare di due titoli. Solo la sua prima parte: “Amalgrab” mi ha impegnato in una lunga ricerca per capirne il significato linguistico e simbolico, anche se la prima citazione di Radeva, presa dall’astrologo arabo Abu Ma’sar, ci fa comprendere in parte di cosa si tratti. Ma ne volevo sapere di più e la risposta l’ho trovato nascosta in un saggio sull’astrologia.
L’autrice bulgara sin dalle prime frasi ci catapulta in un campo minato, dove bisogna muoversi con cautela, nessuna distrazione è ammessa. La lingua di  Radeva è decisa e non tradisce alcun complesso d’inferiorità rispetto all’italiano che non è la sua lingua madre. Si direbbe che si tratti di un libro scritto da una scrittrice tout court ,nonostante, e questa è una nota positiva, si senta che la sua narrazione ha qualcosa di diverso rispetto alla prosa di uno scrittore/scrittrice italiano.  Le metafore, il fatto di importare un modo nuovo di intendere la lingua e le sue combinazioni, di introdurre un linguaggio nuovo all’interno dell’italiano che si amalgama (parola molto cara all’autrice) benissimo con quello che è il patrimonio linguistico letterario italiano mantenendo tuttavia una sua specificità: sono queste le caratteristiche della letteratura italiana scritta da autori “stranieri”. Comunque nella lingua si è tutti cittadini, la creatività non riconosce nessun confine e tantomeno riconosce la nozione di estraneità.
Sono tante le storie che si annidano ,in questo libro, senza tempo né spazio. I passaggi scritti in un dialetto simile a quello  livornese e la presenza nella storia di un porto, potrebbero indicarci che l’azione, forse, si svolge nella città tirrenica, d’altronde l’autrice stessa ha vissuto a Livorno, ma è difficile confinare l’azione in uno spazio fisico o temporaneo preciso. Il tempo della narrazione non è scandito dagli anni, bensì dalle stagioni e dalle festività religiose (Natale, Pasqua, Quaresima) o pagane (Carnevale), come se la Radeva ci volesse togliere la sicurezza di appoggiarci su uno spazio o un tempo precisi. Ci vuole spaesati, disorientati, solo così, forse, la lettura avrà senso.
La prima certezza che bisogna abbandonare è che la scrittrice sia straniera(straniera a cosa?!), lei è di casa nella lingua italiana e la maneggia con una maestria libidinosa, si sposta da un registro linguistico all’altro con nonchalance, passa da un campo semantico all’altro furtivamente e con grazia, inventa metafore splendide.
C’è di tutto nel libro: botanica, astrologia, arte dell’antiquariato, erotismo spinto e sussurrato, ci sono i profumi della cucina, l’odore del vento, la parte scura del sole, il rovescio della luna, e c’è uno specchio, anzi due specchi.
C’è da scontentare tutti con questo libro, i benpensanti, i moralisti, gli animalisti, i vegetariani, i vegani. Radeva non si fa molti amici, se non quelli appassionati di letteratura e sicuramenti tanti animalisti, vegetariani e vegani lo sono, quanto dei benpensanti e dei moralisti non me ne curo!
Poco dopo aver iniziato questo libro, ho subito cominciato a cercare la parola “esoterismo” e l’ho incontrata per la prima volta a pagina 152 (tutto il libro è 238 pagine). Ce ne sono di idee esoteriche in “Amalgrab”,  laddove l’esoterismo è ricerca continua, abbandono di ogni certezza, apertura a tutte le eventualità e infine indagine dell’Alma (anima) che è uno dei personaggi.
La storia incomincia con un viaggio, quello di Leda Ed Eduac. Ora leggete il nome e il cognome al contrario per iniziare a entrare nella trama/trame. Il risultato è Adel De Caude, la matrigna, la signora Theo De Caude, e ricordatevi che nessun nome è a caso. C’è Leda, Adel, Theo, Luz1, Luz2, Zoe, Verbum, Ahva, Apheta, sono i personaggi. I nomi sono importanti perché sono legati alla sorte dei loro personaggi. Leda la nipote di Adel e Theo, figlia di Zoe, dopo essere stata informata della morte della madre che non ha mai conosciuto, parte sulle trace della sua storia. Leda che soffre di “Amenorrea secondaria” deve far fecondare, prima delle sue ovaie, la sua memoria. Deve far raccontare la storia della sua famiglia, una famiglia forse benedetta, forse maledetta, ma non è dato saperlo, non c’è nessuna certezza. D’altronde in questo romanzo, che gioca con lo specchio del destino, ogni cosa è il suo rovescio, il suo contrario. La benedizione diventa maledizione e la maledizione benedizione. Una volta, tutto era tutt’uno, prima che avvenisse la Diade, di cui ci parla meravigliosamente Radeva “ è fu così che scoprì Diade. Il connubio chimerico dell’uomo con se stesso, la prova del primo movimento, la prima forma di parità. La scissione fra Adamo e Dio, causata dalla manifestazione femminile, principio cosmico di contrazione, mentale-di ricettività e passione”. Qui il soggetto è Verbum o anche solo Ver come viene chiamato da qualcuno o Bum come viene chiamato da altri. E sarà proprio lui, Verbum, l’eterno, che porterà Leda verso l’incontro con la madre, con Theo il nonno o l’uomo gatto, con Adel, Apheta, avha, Luz1 e Luz2, sarà lui a svelarle il mistero o a renderlo ,forse, ancora più fitto, perché ogni inizio ha una fine e ogni fine genera un inizio.
Nel romanzo di Radeva ho camminato incerto e titubante, guardingo dalle trappole dell’autrice e dei suoi personaggi. Per leggerlo ho spolverato le mie nozioni sulla sessione Aurea, sull’alchimia, sulla cabala, sulla lingua e sulla scrittura. Ed è forse proprio la lingua che esce vincente nella narrazione di Guergana Radeva. Una ricchezza linguistica degna di una grande scrittrice, anzi di un grande progetto di scrittura.
Sulle trame non mi voglio dilungare perché sono tante ed una sola. Il destino, il nostro, quello umano è la tematica fondamentale, lo si può raccontare come una favola o cercarlo nella cabala o nei laboratori degli alchimisti e dei fisici, o nei scintilli dei colpi di piccone dei becchini (presente anche lui nel romanzo)rimane sempre un mistero, liberamente interpretato e interpretabile.
Radeva ci lo racconta a modo suo, e il risultato è un romanzo Borgesiano. Ci sono tutte le tematiche preferite nella scrittura di Jorge Luis Borges: La metafora, lo specchio, il labirinto, l’infinito spaziale e temporale, il doppio, il sogno, gli scacchi, il paradiso perduto, le sacre scritture, dio, le lingua…
E come se non bastasse, Radeva correda le sue pagine con i disegni di Massimiliano Ruffino che ha un tratto fino onirico che infittisce il mistero.
Ci sono certe frasi nel libro di radeva che ti colpiscono come pietre scagliate: “ Amenorrea secondaria”, aveva scandito il medico mentre mi sfilavo gli slip. Sovrappeso, squadrandomi accigliato: culo-tette-culo. Stress, mentre mi punta un fascio di luce fra le gambe staffate e mi ficca dentro le dita gommose in cerca di una causa puramente somatica, che spieghi il perché delle mie ovaie in tilt. “Proviene, senz’altro, da un matrimonio misto…”La bocca contratta, cagando le parole una alla volta. “Suo padre o sua madre?” sua madre, e ancora: “Purtroppo le colpe delle madri compongono l’ordito per le trame delle figlie secondo geometrie non euclidee”.
L’ordito sul quale Radeva tesse la sua tela è fatto da un italiano bello, una scrittura che non ha nulla di migrante, se non le metafore. Non ci sono i nostalgismi dei migranti, la commiserazione di molti dei loro scrittori, quel rapporto conflittuale con le patrie, quella madre e quella adottiva, con le lingue, quella madre e quella adottiva. La maschera linguistica che Radeva usa per rivestire la sua storia è di matrice italiana, ma si articola attorno a tanto meticciato. La metafora del carnevale è il luogo mascherato dove nessuno è giudicato dalla sua faccia, e anche i migranti sono uguali agli autoctoni, nessuna differenza, nessun giudizio.
Guergana Radeva unisce la parola al suo significato, facendole scoprire possibilità di sintassi molteplici. E si direbbe che la sua scrittura, rubando le parole di un altro autore pubblicato sempre da “Compagnia delle lettere” l’uruguaiano Angel Luis Galenzano, sia “Di qui e d’altrove”.
Ho solo delle belle parole per questo libro, anche se sono cosciente che la prolissità della scrittrice potrebbe rendere snervante la lettura. Le atmosfere cupe e allucinati, il misterioso tramare dietro le quinte, la moltitudine di parole difficili a volte gergali, tutto questo rende il libro esclusiva di soli palati fini.
Per finire un viaggio quasi febbrile dentro il verbo di Guergana, ho messo il libro davanti allo specchio e ho letto il cognome della scrittrice: AVEDAR, l’ho scomposto in due parti Ave(può significare Ave come forma di saluto o Ave nel senso di bramare avidamente) e Dar letto in arabo significa Casa.
Ave alla casa che ha costruito Guergana e dove ho abitato per 3 giorni.

Guergana Radeva                                               amalgrab1
Amalgrab, ovvero lo specchio delle brame
Casa editrice: Compagnia delle lettere

http://collettivoalma.wordpress.com/2012/12/12/di-guergana-radeva-ovvero-di-una-scrittura-vagante-senza-tempo-e-senza-spazio/

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