AMALGRAB. Recensione di Daniele Barbieri su Liberazione del 06/07/08

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«Qualcosa da dichiarare?» chiede l’ufficiale di dogana e non si
aspetta che Zoe risponda «tre casse di tempo raffermo». Siamo quasi
alla fine del romanzo «/Amalgrab/» e chi legge dovrebbe aver imparato
a non farsi sorprendere, eppure resta imbambolato di nuovo. Proprio
come quel doganiere: «l’ermeticità della risposta gli si attorcigliò
fulminea attorno ai testicoli, stringendo come una cinghia di cuoio».
Il dialogo successivo sconvolge l’addetto alla dogana («era vergine,
non sognava mai») e addirittura «la Città stessa trasalì insieme a
lui, spegnendo per 12 secondi tutte le luci dell’aeroporto».
E’ una Città vivente con «afrore inconfondibile», con «accento
incancellabile» che «da sempre flirtava con i venti» e che «sciolta
nel jazz» da nera diventa «malva, rosa, violetto». La tranquilla
onnipotenza dell’autrice fa vivere specchi, scacchi, vampiri, piercing
vegetali, ragni albini, rubini, sementi rari, numeri, sfere celesti e
rumori.
Siamo in un rebus, un labirinto, di qua e di là dello specchio, dentro
ostriche che inconsapevolmente custodiscono perle. Gli astrologi
«chiamano la/ pars celati/ amalgrab, che è la virtù interiore». E di
virtù questo romanzo del tutto immorale ne ha tantissime. E’ raro
trovare favole moderne e «nere» così riuscite: come cadere in certe
canzoni di De Andrè mentre si guarda un quadro di Bosch, o viceversa.
Se il tempo marcisce, se «le colpe delle madri compongono l’ordito per
trame delle figlie secondo geometrie non euclidee» ci si può aspettare
che l’autrice prima o poi fabbrichi universi. E infatti… nello scontro
fra la Genesi e Jean-Paul Sartre pare vinca il secondo ma nel finale
(«il lieto fine è una prerogativa del Carnevale») la faccenda si
complica anche perché dal sesto giorno in poi Iddio «si addormentò»
per millenni, «pisolino di fronte all’eternità». Del resto le anime
«si smagliano» e il Cantaombre vende ogni notte «fisicità diverse».
Le gru «rugginose» del porto sembrano «giganteschi scorpioni di ferro»
a una bimba ma che gli orologi siano un’invenzione del demonio non è
l’idea solo di un vecchio contadino toscano, «curvo e poroso, simile a
un porcino». Strada facendo troveremo rose dei venti, cimiteri,
vergini puttane, presagi, occhi gialli, «il sale delle lacrime e lo
zucchero dei sogni», acqua e mestruo. La metamorfosi di Theo
(«frequentatore assiduo delle aste di terz’ordine») fa il paio con Luz
che sa leggere i colori. Mobili che d’improvviso aumentano di peso e
bambini che spariscono «nel varco di Carnevale». Amori incestuosi,
ombre che seguono la tabellina del tre e una Vecchia «dai piedi
palmati». Ogni nome è «un condizionamento», c’è chi «si rende utile»
prendendosi «le zone d’ombra altrui», anche «cani lievitano sopra i
tetti scompigliando nugoli di gatti volanti». Stupefacente come
Guergana Radeva controlli ogni parola, trovando sempre quella giusta,
senza aggrovigliare i cento fili della trama.
Questa maga dov’era nascosta sinora? Nel risvolto di copertina è
presentata così: nata in Bulgaria, laureata in ingegneria elettronica,
dal ’91 in Italia, domestica, pizzaiola, sposata, vive in Maremma con
tre cani e quattro gatti. E’ «in cerca dell’Opera, un romanzo
alternativo». L’ha trovata anzi l’ha creata (o rubata in qualche isola
volante): difficile ricordare un’opera prima così ammaliante e priva
di pecche. E allora grazie alla Radeva per «il dono infantile della meraviglia».

Commenti

ARTEMISIA ha detto…
Ho letto a spezzoni...ma mi piace come scrivi...l'uso che fai delle parole.