Ringraziando Salvatore Stefanelli per l'intervista

 

Ecco la seconda intervista di questa nuova categoria d'intervistati, quella dei vincitori di premi letterari. Oggi parliamo con la vincitrice del 7° Premio Writers Magazine Italia, del 2006, Guergana Radeva. #incuriositevi e poi dite pure la vostra. Grazie!

INTERVISTA VITTORIOSA

Cinque domande + una

1) Ciao Guergana. In poche parole raccontaci la tua esperienza di partecipante al Premio WMI e cosa hai provato con la tua vittoria. Quanto di questa vittoria ha influito sul tuo futuro di scrittore o nella tua vita?

Parliamo del lontano 2006, l'anno in cui ho partecipato al 7° Premio Writers Magazine Italia dedicato alla narrativa erotica. Eravamo agli albori dei forum online e quello di WMI era il mio preferito. C'era molto fermento, scambio di idee, esperienze e informazioni utili sul mondo dell'editoria. Così sono approdata al concorso, ho partecipato per gioco e vedere il mio racconto in cima alla lista è stata una vera sorpresa. Per me, arrivata in Italia a ventiquattro anni e senza conoscere l'italiano, questa vittoria è stata molto stimolante, mi ha dato fiducia. Un'altra cosa importante è stata la possibilità di confronto con gli altri partecipanti, un ottimo modo per crescere. Non so se ci sia ancora il topic nel forum di WMI, però sono andata a ritroso nel mio blog e ho trovato qualche citazione:

https://amalgrab.blogspot.com/.../writers-magazine-2007.html

2) Di cosa parlava il tuo racconto e ha avuto, per così dire, dei seguiti?

Il mio non è il classico racconto erotico bensì una storia nera che scorre sul filo della simbologia pagana, sfiorando il mito, gli archetipi, Eros e Thanatos.

Ecco un brevissimo estratto per rendere l'idea: “Arrivò in cima sulle fruste dei venti, pezzo di carne palpitante, sordo, cieco, sanguinante pezzo di carne, impigliato nelle viscere della notte. Aveva ciuffi di muschio nelle orecchie per non sentirla e argilla secca sulle palpebre per non vederla, non riuscì a sfuggire però la calura fermentata del suo corpo avido e possente...”

Alla domanda se il racconto abbia avuto dei seguiti, risponderei in maniera affermativa. Quattro anni più tardi, sempre grazie ad un concorso Delos Books, ho partecipato all'antologia 365 racconti erotici per un anno. E qualche anno dopo è uscito il mio romanzo erotico Rosa canina, Progetto Cultura 2014 (Premio La Seduzione e l'Eros). Attualmente disponibile su Amazon in versione rivisitata e illustrata, intitolata Bacche di Giuda.

3) Consigli per chi voglia partecipare a questo Premio o, a un Premio letterario in generale: cosa fare e cosa non fare, secondo te.

I concorsi letterari sono utilissimi, io ho pubblicato sempre grazie a loro. Ho iniziato, partecipando a concorsi per scrittori migranti, poi ho trovato il coraggio di confrontarmi con i scrittori madrelingua e nel 2001 sono stata fra i vincitori di IoScrittore che contava più di quattromila partecipanti.

Personalmente preferisco i concorsi gratuiti, a tema, con una giuria affidabile. A qualcuno potrebbe sembrare superfluo informarsi sui nomi dei giurati e sull'editore dell'eventuale pubblicazione, ma sono loro il vero volto del concorso.

4) Fatti una domanda e dacci la risposta

Perché investire (o sprecare) tempo ed energie nella scrittura?

Anni fa avrei risposto: per la gratificazione del risultato finale. Oggi so che la risposta è diversa perché la gratificazione primaria sta nel processo stesso della creazione artistica, al di là del risultato. A livello neurobiologico c'è una stretta correlazione fra creatività e dopamina, l'ormone della felicità. Non scrivo perché sono felice, anzi... però sono felice perché scrivo.

5) Cosa stai scrivendo in questo periodo o, cosa vorresti scrivere?

Come dicevo prima, scrivo per piacere. L'anno scorso ho avuto la possibilità di parlare con Massimo Carlotto, mi disse che sapeva già cosa avrebbe scritto nei prossimi tre anni, aveva le scalette, le scadenze, i contratti editoriali. A me sfuggì che non sarei stata capace di scrivere sotto scadenza e contratto, risposta poco professionale, immagino. Con la scrittura ho sempre avuto un rapporto intuitivo ed emotivo. Mi piace sperimentare, lasciarmi sorprendere dalla piega che prende la trama. Sono passata dal genere fantasy esoterico all'erotico, poi al comico e al giallo. Tutto molto fantasioso, romanzato, mentre ora mi sento sempre più tentata dalle storie reali. Mi sto guardando indietro con l'idea di scriverne una ambientata fra la Bulgaria e l'Italia, intrecciate, ormai inscindibilmente, nel mio vissuto.

5+1) Raccontati in un racconto.

A casa

Torno in Bulgaria di rado e ogni volta il mio paese natio mi sembra più distante. Estraneo. In realtà, il paese è quello di sempre, sono io a sentirmi fuori luogo. Dormo male e faccio sogni in cui cerco di spogliarmi, però sotto i vestiti ci sono altri strati di stoffa, capi di ogni foggia e colore. Non ho un corpo e nemmeno un volto. Mi sveglio sudata, fatico a capire dove mi trovo.

Gli incubi che ho in Italia sono diversi, non mi perdo sotto mucchi di abiti, bensì in strada, fagocitata dal caos cittadino, con il terrore di non arrivare in orario. Non ho neanche il tempo di chiedermi dove stessi andando, so solo di avere fretta, molta fretta... Mi salva la sveglia, ma solo per ricominciare a correre.

Sarà per questo che non ho nessuna voglia di rimettermi in viaggio. Sono arrivata a Sofia da pochi giorni e devo ancora riprendere fiato, però ci sono faccende familiari da sbrigare e stavolta non riuscirò a cavarmela con una delega.

«Della proprietà dobbiamo decidere insieme» insiste mio fratello. «E poi non è lontano, nemmeno due ore...»

«Quattro» protesto irritata.

«Ti faccio sedere davanti» ridacchia lui.

La battuta non mi diverte. Da ragazzina soffrivo il mal d'auto e anche se avere il posto accanto a papà era gratificante, non mi risparmiava le nausee. La Zaporozhets sovietica ruggiva e si surriscaldava in salita, imponendo soste di raffreddamento. Mi rifiutavo di scendere perché mi vergognavo di quel cofano spalancato come una bocca nera. Le Zhiguli non avevano questo problema, e nemmeno le Moskwitsch, ma il peggio era quando la macchina si fermava del tutto ed eravamo costretti ad affidarci alla misericordia degli automobilisti di passaggio.

Naturalmente non c'è paragone fra la Nissan di mio fratello e la Zaz di una volta. Prendiamo la nuova autostrada e impegniamo davvero metà del tempo che ricordavo.

Le strade del villaggio che salutavano il nostro arrivo con strombazzare di biciclette e muggito di bufale di rientro dal fiume, ora si snodano silenti come se percepissero la mia apatia.

Un lontano cugino ci accoglie e si offre ad accompagnarci per vedere la terra, poi avvertita la mia mancanza d'entusiasmo, si limita a srotolare le mappe catastali sul tavolo. Ci indica i campi, la vigna, il bosco. Avere un bosco tutto per sé, mi chiedo cosa avrei dovuto provare? Mezzo secolo dopo la nazionalizzazione la campagna sta tornando in mano ai legittimi eredi, solo che io, figlia di una società che aboliva la proprietà privata, di tutta questa terra non saprei che farmene.

Gli occhi degli uomini, invece, brillano, mentre sfogliano ingialliti atti notarili e contano ettari su ettari. Quando me la squaglio fuori con la scusa di una telefonata, non alzano neppure lo sguardo.

La vegetazione invade il cortile di nonna, così fitta che fatico a spingere il cancello. Con un ramo secco scosto le erbacce per fugare le bisce, ma raggiunta la casa non mi sento affatto in salvo. L'intonaco cade a pezzi, gli infissi sono imbarcati, dietro la porta pende un sipario di ragnatele. Scarto l'idea di entrarci, fingo di non vedere il secchio rovesciato del pozzo e mi tengo a distanza di sicurezza dal granaio sbilenco.

L'orto è un groviglio di rovi, gli alberi condannati nel cappio dell'edera. Pesto frutta sfatta con scarpe e anima imbrattate di marciume. Sto per lasciarmi definitivamente alle spalle questa terra di nessuno, quando adocchio la pesca sul ramo. L'ultima, ancora intatta. La colgo, calda e vellutata al tatto, zuccherina in bocca. Il nastro del tempo si riavvolge sulla scia di percezioni dimenticate ed eccomi bimbetta sulla seggiola impagliata, mani e mento appiccicosi di dolcezza, sto mangiando una pesca grande quasi quanto la mia testa, mentre papà armeggia con la macchina fotografica.

«Volevo tagliartela a spicchi,» dirà mia madre, sfogliando l'album in bianco e nero, «solo che tu non la mollavi, la pesca. Te la sei mangiata tutta a morsi.»

Anche ora la sto addentando impaziente, golosa. E intanto mi affaccio nel granaio, mettendo in fuga una nidiata di topi. Mi vedo nel pulviscolo dorato, ragazzina, seduta sulle pannocchie di mais col naso all'insù. Sto invocando il fantasma del nonno, morto di dispiacere per aver perduto la terra. Aveva intrecciato da sé la corda per impiccarsi sulla grande trave.

La lingua batte contro il nocciolo, stacco gli occhi dalla trave annerita e giro la pesca, c'è ancora polpa.

Anche la casa gradisce l'aroma del frutto o forse fiuta il mio animo addolcito e stavolta non mi respinge. Più che un sipario calato, le ragnatele sono un velo che lascia intravedere di soppiatto, un po' come le mie ciglia ancora sfarfallanti fra sonno e veglia quando mi destavo e osservavo la nonna indaffarata davanti alla stufa a legna. Rassicurata, lasciavo calare di nuovo le palpebre e inspiravo l'odore del fieno che imbottivo il piccolo cuscino.

Apro l'anta della piccola credenza e ho un tuffo al cuore, fra i vecchi libri di scuola di mamma e alcuni volumi di fantascienza portati da papà, scorgo La valle dell'Eden che ho dimenticato qui durante le vacanze. Leggevo e fantasticavo, convinta che prima o poi l'avrei trovata pure io la mia bellissima valle del paradiso, mi stava già aspettando da qualche parte del mondo. Solo che quando ho creduto di averla scoperta, avevo già perduto me stessa lungo la strada. Spaesata. Dimezzata. Mentre una parte di me si specchiava nelle vetrine opulenti, beandosi del nuovo look di cittadina del mondo, l'altra mia metà conduceva la vita di sempre nel vecchio paese, solo che si era fatta impalpabile e trasparente, nessuno si rallegrava quando lei gioiva né poteva consolarla quando piangeva. Perché la nostalgia non significava perdere il proprio paese, ma smarrire se stessi, trovarsi sfilati fuori dall'ordito protettivo dei luoghi e degli affetti familiari.

Spolvero il libro e con gesto istintivo ripulisco anche la vetrata per far entrare la luce.

Uscendo, rimetto a posto un paio di vecchie scarpe. Aggancio il secchio, schiudo il coperchio del pozzo e anche se l'acqua luccica lontana, ne sento in gola il sapore ghiacciato.

«Bevi a piccoli sorsi» mi ammoniva mia madre, ma io svuotavo la brocca e già correvo altrove. A catturare grilli fra le zolle, a esplorare sentieri segreti nella granturcaia oppure a impiastricciarmi di more e intrecciare coroncine di margherite con svelte dita viola. Attimi limpidi di inconsapevole felicità.

Mentre m'incammino verso il cancello, strappo qualche ciuffo di malerba per liberare i fiori, capolini variopinti su steli incerti, soffocati dalle ortiche.

Ripartivo da qui carica di mazzi profumati, rose, dalie, tulipani, mentre nonna salutava dalla soglia, minuta, eppure forte, ben piantata nella propria terra. Coriacea come questo nocciolo che stilla le ultime gocce di dolcezza.

Risvegliatasi dal torpore, la strada mi riconosce e offre in dono frammenti perduti. La pedalata a rompicollo sull'argine, un passerotto ferito, raccolto con cura, sussurri e risate nell'ombra dei gelsi.

Nulla è più lo stesso, eppure tutto lo è...

Anche gli uomini sono esattamente come li ho lasciati, chini a confabulare sul tavolo.

«Il seminativo si affitta senza problemi» sta spiegando il cugino. «Anche per il bosco ci sarebbe uno che conosco, interessato alla legna. La casa, invece, sarà difficile darla via in queste condizioni... Quello puoi buttarlo nel portacenere.»

«Che cosa?»

«Il nocciolo.»

Solo ora mi accorgo di tenerlo ancora stretto in mano.

«Non lo butto, lo pianterò per poi innestarlo con le gemme del vecchio pesco.»

«Lo pianti dove?» domanda confuso mio fratello.

«Qui. A casa.»

Grazie, Guergana, per ogni tua parola, per il senso custodito in esse e per l’insieme, che racconta la vita. Canestrini per ogni nocciolo che vorrai piantare nel campo della stessa vita, perché crescano e fioriscano come i più belli tra gli alberi del tuo giardino.

Grazie a te per l'intervista, un saluto a chi leggera queste righe e agli amanti dell'arte in tutte le sue forme.

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https://www.delosstore.it/.../writers-magazine-italia-8/



Salvatore Stefanelli

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